Il Megabus è stata senza dubbio una scelta conveniente per tornare a casa, ma le 7 ore di viaggio mi hanno sicuramente provato. Il Wi-Fi a bordo non funzionava nemmeno.
Quando l’imponente double decker parcheggia di fronte l’ingresso est della stazione CalTrain di San Francisco è mezzanotte e cinquantadue. Esattamente cinque minuti di ritardo sull’ultima corsa dell’ N che mi avrebbe portato a casa senza troppa fatica. Ora dovrò aspettare il primo bus notturno.
Raccolgo i miei bagagli facendomi spazio tra gli altri passeggeri. La mia valigia è in prima fila. La prendo e do uno sguardo in giro nel tentativo di localizzare la fermata che ospiterà la mia attesa.
È proprio lì. Sullo stesso marciapiedi. Un paio di metri più su.
Quando l’autobus riparte rombante, rimane solo il vociare dei passeggeri che, allineati sulla stessa parte della strada sulla quale mi trovo, concludono le chiacchierate che avevano intrapreso con i loro occasionali compagni di viaggio.
La stazione CalTrain si trova nel cuore di SoMa, la zona a sud di Market Street. Conosco bene questo quartiere perchè, durante la mia precedente permanenza in città, abitavo qui. Anni fa era considerato un quartiere da evitare. Pieno di senzatetto, spacciatori e gang in cerca di guai. Ultimamente, visto che le condizioni l’avevano resa un’area più economica rispetto al resto della città, le varie startup tecnologiche ne hanno approfittato e hanno cominciato ad acquistare vecchi magazzini per trasformarli nei loro uffici. La città di San Francisco, fiutando l’affare, ha contribuito a ripulire le strade da malintenzionati aumentando la presenza di pattuglie addette alla sicurezza, trasformando SoMa nel quartiere tech della città.
Nonostante tutto, rimane una zona che richiede una particolare attenzione. Soprattutto di notte. Soprattutto da soli.
I passeggeri del Megabus, salgono sui taxi che si affrettano a raggiungere la stazione nella speranza di concludere gli ultimi affari della giornata. Nel giro di dieci minuti rimango in compagnia di una donna dai lineamenti mediorientali con la testa coperta da un velo. Sembra conoscere bene i trasporti pubblici. Io non ho tanta esperienza con i bus notturni. Ne approfitto per chiedere se quella fosse la fermata giusta per me. Lei conferma la mia intuizione.
Un minuto dopo la vedo sparire sul 91 owl. Per il mio N c’è da aspettare ancora un po’.
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Mentre consulto Google sul telefono per avere informazioni sulla mia attesa, mi accorgo che dall’altra parte dell’area di parcheggio dei bus c’è un’altra ragazza. La noto perchè cammina verso di me con area decisa e sorridente. Quando incrocio il suo sguardo ho la certezza che sta per chiedermi qualcosa. In particolare, ho la sensazione che si stia avvicinando perchè preferirebbe avere qualcuno con cui aspettare. Scoprire di avere un volto rassicurante mi fa piacere. Come quando sei su un treno e il posto vicino al tuo è libero. Quando vedi gli altri passeggeri che salgono a bordo, si guardano intorno e poi vengono a sedersi di fianco a te, ti senti il prescelto.
Si ferma a fianco a me. Mi sorride e inizia a parlare. Ne ero certo.
“Aspetti qualcuno?” Mi chiede.
“Sto aspettando il mio autobus” rispondo “mi lascia proprio vicino casa. Prendere il taxi sarebbe uno spreco.”
“Io sto aspettando un amico” – dice – “dovrebbe essere qui a momenti.”
Le sue parole potrebbero essere i preliminari di una tipica conversazione, ma le leggo come un tentativo di difesa da eventuali attacchi da parte mia. La mia mente le traduce in Sappi che sarò sola ancora per poco. Un UOMO sta per venire a prendermi.
“Ho perso l’ultimo treno per San Jose. Ho un amico lì. Sarei dovuta andare da lui. Ora sono riuscita a contattare un altro amico che vive in città. Spero arrivi presto. Il mio telefono è morto, non so come sentirlo.”
“Lui sa che sei qui, giusto?” le chiedo.
“Si si. Lo sa. Dovrebbe essere a momenti” risponde.
Dall’aspetto ha circa 24 anni, anche se l’apparenza inganna spesso da queste parti. Decisamente una bella presenza. Una di quelle che potresti facilmente definire una brava ragazza a primo impatto. Indossa dei jeans chiari sotto una giacca verde militare. Forse un po’ leggerina per la temperatura del momento. Ai piedi ha delle Dr. Martin’s nere e, sull’asfalto accanto a lei, c’è una borsetta e un piccolo zainetto. Molto piccolo.
Mentre il mio sguardo distrattamente la analizza, lei continua la sua storia. “In realtà non so perchè ho deciso di andare a San Jose. Sono qui per vedere San Francisco.”
“Di dove sei?” le chiedo accorgendomi di aver di nuovo sbagliato la domanda. Lo faccio sempre. Se i dettagli non ti interessano, in America, non puoi chiedere di dove sei. Tutti ti descriveranno le diverse origini della propria famiglia e solo alla fine ti diranno in quale città vivono.
“Mio padre è tailandese, mia madre è inglese, ma io sono nata a New York. Mi sono trasferita a Irvine per il college, ma ora ho intenzione di spostarmi qui. Sono venuta per capire meglio se San Francisco mi piace.”
Irvine è la città più grande di Orange County. È circa a un’ora da Los Angeles Downtown. Quando me lo dice, sospetto che potesse aver viaggiato sul mio stesso autobus, ma non mi ricordo affatto di lei. Non mi sembra di averla vista prima. Quando il bus si è fermato per la sosta cena e sgranchimento di gambe, ho avuto modo di dare un veloce sguardo a tutti i passeggeri. Non credo che fosse su quel bus. Ma la domanda non mi sembra interessante, quindi non la faccio. Rimango nel dubbio.
“Io sono stato qui per un po’ di tempo l’anno scorso. Poi sono tornato in Italia e ora sono qui di nuovo. Non so quanto rimarrò, ma si sta bene da queste parti.” – le dico – “Prima vivevo a due blocchi di distanza da qui. Ora ho trovato un appartamento più a nord.”
Mentre le parlo della zona in cui abito arriva il mio autobus. L’autista, una donna, scende e mi chiede se stavo aspettando quello. La mia risposta è affermativa, cosi lei mi informa che c’è da aspettare ancora una decina di minuti. “Partiremo all’ 1.23”.
Ringrazio, sorridente e torno a guardare la mia nuova amica. La piccola borsetta a fianco ai suoi piedi mi incuriosisce. Non ho mai visto una ragazza viaggiare con dei bagagli cosi piccoli. Persino io che sono un ragazzo ho una vera e propria valigia con me. E sono stato via soltanto per un weekend. Non investigo a riguardo.
“Ti dispiacerebbe prestarmi un attimo il telefono?” mi chiede timidamente. Le parole dell’autista le avranno fatto percepire che tra una decina di minuti rimarrà da sola.
“Certo” rispondo “Non c’è problema”. Quando le passo il mio iPhone mi accorgo che ha un numero di telefono scritto a penna sulla mano sinistra. Deve averlo raccimolato proprio all’ultimo minuto, penso. Compone il numero e si scusa di nuovo per la richiesta. “Il mio telefono non funziona proprio. Domani devo comprarne un altro assolutamente.”
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Le ribadisco di non preoccuparsi. Farle usare il mio telefono non è affatto un problema per me. Avvicina il telefono all’orecchio mentre io mi giro di nuovo verso l’autista per assicurarmi che fosse ancora li. Mi dispiacerebbe dover aspettare un altro autobus. Quando il mio sguardo torna da lei, la vedo chiudere la chiamata senza aver detto parola.
“La voce della segreteria telefonica non è quella del mio amico. Ho paura di avere il numero sbagliato.” E poi aggiunge “Sai se ci sono bar o negozietti aperti a quest’ora qui intorno?”
Ok. Penso. Mi sta implicitamente facendo una richiesta ben precisa. La mia mente interpreta di nuovo le sue parole e le traduce in Credi che possa stare a casa tua questa notte? Non sono affatto sicura che il mio amico verrà a prendermi.
Mi trovo un po’ in difficoltà.
Nonostante per molti ragazzi la situazione potrebbe sembrare paradisiaca.
Sembra una brava ragazza. È anche carina, ma viste le circostanze non riesco a fare a meno di pensare al peggio. Quella telefonata mi sembrava un po’ finta. Controllando il mio telefono però, mi sembra che sia stata effettuata davvero.
In particolare, per qualche assurdo motivo, mi viene in mente un’applicazione per iPhone che ti permette di rintracciare i tuoi amici e localizzarli tramite GPS. Penso che la ragazza potrebbe avere questa diavoleria sul telefono e che, se la portassi a casa, qualcuno d’accordo con lei potrebbe scoprire il mio indirizzo e approfittare della situazione per fare… qualcosa. Il mio pensiero non scende nei dettagli.
Sembra talmente una ragazza per bene, che qualche balordo potrebbe usarla come esca per approfittarsi di quelli come me. Di solito, sono molto ottimista. Ma mi fido molto delle mie sensazioni.
Inoltre penso ai miei coinquilini. Abito in questa casa da poco più di una settimana. Non li conosco e ancora non so quanto possa fare affidamento su di loro nel caso in cui dovessi trovarmi in difficoltà.
Nello stesso momento però, ripenso che sto per lasciarla da sola, di notte, a SoMa. E improvvisamente mi immagino la sua faccia su una pagina di giornale.
Non si è organizzata molto bene e non mi sembra tipa da hotel a San Francisco dove per una notte paghi almeno 120 dollari.
Cavolo! Vorrei aiutarla e offrirle quello che non osa chiedermi, ma nello stesso tempo sono in difficoltà. Le mie sensazioni mi dicono che non dovrei farlo.
L’autista torna sull’autobus e accende il motore. Sta per partire.
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Questa storia è accaduta due giorni fa. Prima di leggere il finale però, sarei davvero curioso di scoprire cosa avreste fatto voi.
Cosa avreste fatto al posto mio? L’avreste portata a casa oppure l’avreste salutata salendo sull’autobus senza voltarvi?
Scrivetemelo in un commento qui giù e, se la storia vi è piaciuta, condividetela con i vostri amici. Voglio vedere cosa ne pensano loro. CLICCA QUI PER LEGGERE IL FINALE.
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