Sono qui solo di passaggio. Ma questi pochi giorni son bastati per riassaporare quelle sensazioni che qualche anno fa mi hanno accompagnato nella mia più lunga permanenza nella smisurata città di Los Angeles.
Ogni volta che mi sono trovato ad affrontare questa conversazione con americani, la loro osservazione è sempre stata “LA non è l’America”.
Credo sia cosi.
È anche vero però che Los Angeles conta milioni di abitanti, ma soltanto in pochi sono nati qui. La maggior parte arriva da ogni cittadina degli Stati Uniti. Volendo generalizzare, avrei un bel campione di popolazione che mi permetterebbe di estendere la mia opinione sull’intera razza statunitense. Non lo faccio però. Avendo conosciuto e vissuto anche in altre città americane, posso dire che non è cosi. Questa è l’unica che mi da questa sensazione.
Conosco anche persone che, al di fuori dei confini della contea si comportano in un certo modo. Quando sono a Los Angeles però… sono a Los Angeles.
La mia sentenza finale quindi è questa: Los Angeles ti cambia.
Quella che viene considerata la patria della libertà, delle stranezze e dell’eccesso, in realtà tende ad uniformare le persone.
È come se per raggiungere il successo in cui tutti sperano ci fosse un percorso ben preciso da seguire. E tutti lo seguono. Indossare una giacca e una cravatta, t-shirt e infradito, skinny jeans e giubettino punk o addirittura un costume da Spiderman, non fa alcuna differenza. Procedono tutti nella stessa direzione. Sulla Boulevard of broken dreams.
In questa giornata un po’ triste e solitaria della mia nuova avventura oltreoceano, mi sono trovato a riflettere sulle celebri parole di Billie Joe e credo che possano aiutarmi ad esprimere quello che penso.
A tutti gli italiani che mi chiedono pareri, consiglio sempre di andare. Per una vacanza LA è la città perfetta. Divertimento, spiagge, bella gente e shopping. Rimanendo un po’ piu a lungo però, ti accorgi che c’è solo divertimento, spiagge, bella gente e shopping. E anche che la gente non è proprio bella come sembra. Soprattutto, quello che dico sempre, è che LA è l’unica città che ho visitato finora che rispecchia esattamente tutti gli stereotipi che si trascina dietro: la città delle illusioni, la terra delle opportunità e dell’opportunismo in cui l’abito fa decisamente il monaco.
La città delle illusioni
…read between the lines, what’s fucked up and everything’s alright…
È la terra di Hollywood e della musica. Il 98% delle persone che ho conosciuto sono qui perche sperano in una carriera da sogno all’interno di questi due settori industriali. Tutti fanno o vogliono fare gli attori. Fin qui, nulla di anomalo, è come decidere di andare a Milano per lavorare nella moda o a San Francisco per la tecnologia. La differenza è che tutti, anche la sessantenne pensionata, sono brillanti attori anche dietro la telecamera.
Sono costantemente impegnati nella costruzione del proprio personaggio: l’attore di successo.
Nessuno si presenterà mai come cameriere o impiegato postale. Tutti danno a vedere di essere quello che vogliono diventare. Che il loro vero lavoro sia una fase di passaggio è normale. Tutti hanno bisogno di pagare le bollette, ma nessuno ammetterebbe mai la propria situazione attuale. È socialmente considerato degradante.
Potrebbe essere un trucco o una strategia. Un po’ come nel libro The Secret di Rhonda Byrne secondo il quale, per la legge di attrazione universale, comportandoti come se fossi in possesso di una cosa, un giorno la otterrai davvero. (Ops… ho svelato il segreto!).
La terra delle opportunità e dell’opportunismo
È senza dubbio una terra ricca di opportunità. Ma, in nessun posto come a Los Angeles, è risaputo che le opportunità arrivino attraverso le conoscenze giuste.
Il fatto che il rafforzamento di legami deboli (o inesistenti) apra numerosi nuovi orizzonti è una cosa in cui credo tantissimo. MeetingLife, il progetto sul quale lavoro da anni, nasce su queste fondamenta. L’aspetto malinconico dietro quello che loro chiamano networking (nda. accrescere la propria rete di relazioni personali) è che, quella che agli occhi di un italiano appare come un’incredibile e inaspettata cordialità e curiosità nel fare la nostra conoscenza, si infrange al momento in cui la conversazione porta il vostro interlocutore losangelino a capire che non siete la persona che speravano di incontrare. In questo modo, una conversazione con un estraneo in un bar nasce inaspettatamente e muore improvvisamente. E nella stessa sera può capitare più volte.
È in questi casi che penso che un italiano in vacanza a Los Angeles, che sia in grado parlare un minimo la lingua, si diverte moltissimo. Ogni volta che vai in un bar ti senti immediatamente amico di tutti. Ti offrono da bere, le donne (e anche gli uomini) ti corteggiano con le modalità dei film e ti sembra di essere in paradiso. A lungo andare però, ti accorgi che la storia si ripete continuamente e che il loro è, spesso, solo un interesse momentaneo. Fin troppo momentaneo a volte.
La malinconia legata a questa mia analisi delle dinamiche sociali del sud della California si moltiplica se guardiamo oltre la singola serata in un locale di Los Angeles e pensiamo all’arco di una vita intera.
I walk a lonely road, the only one that I have ever known. Don’t know where it goes but it’s home to me and I walk alone.
Non voglio insinuare che non esistano amicizie durature nella città degli angeli, ma ribadisco la mia tristezza nel constatare che il famoso concetto del tutti sono utili ma nessuno è indispensabile, da queste parti, si percepisce davvero tanto.
Ho visto passionali storie d’amore e incredibili amicizie finire da un momento all’altro. Un giorno grandi amici o invidiabili amanti, il giorno dopo perfetti sconosciuti che probabilmente disperderanno le loro tracce nella vastità della città. Persone abbandonate senza alcuna giustificazione o motivazione particolare. Solo perchè, in quel momento, non erano più utili al raggiungimento del proprio obiettivo o erano in qualche modo diventate un ostacolo.
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Molti di voi potrebbero pensare che queste cose accadono continuamente anche in Italia. Io non saprei come spiegarlo ma, se sono qui a scriverlo è perchè ho rilevato un livello di cinismo culturalmente tollerato che è estraneo al territorio italiano. La cosa che mi fa più tristezza è che, anche se non lo danno a vedere, sono tutti consapevoli che da un momento all’altro potranno ritrovarsi soli. Ma sono abituati e se ne fanno una ragione.
Con un’analisi un po’ più approfondita vedo la causa di questo “problema” radicata nell’educazione americana. A differenza dei famosi italiani mammoni che vivono a scrocco fino ai 40 anni, l’americano medio esce di casa a 16. Questo è un fatto risaputo anche nella terra di Mameli. Quello che non sappiamo è che il loro andar via di casa significa smettere completamente di fare affidamento sui genitori. La cosa più spaventosa è che sono i genitori stessi a smettere completamente di prendersi cura dei figli. In molti casi, quasi a diventare degli estranei.
Questo insegna ad affidarsi esclusivamente a se stessi e rendersi conto subito che, da quel momento in poi, bisognerà cavarsela da soli. Nel bene o nel male.
Da molti punti di vista è un gran vantaggio. È questo secondo me il motivo per cui gli americani sono molto più portati all’imprenditoria. Il lato negativo però è che se nemmeno i miei genitori si prendono cura di me, perchè dovrei preoccuparmi troppo di un amico?
I Green Day non sono i soli a cantare. Sono tante le canzoni che toccano lo stesso argomento. Tra le mie preferite c’è quella dei Red Hot.
…sometimes I feel like I don’t have a partner. Sometimes I feel like my only friend is the city I live in, the city of angels.
Da italiano, vivere sapendo di non poter mai contare su nessuno, non mi piacerebbe.
L’abito fa decisamente il monaco
Nessuno crederebbe a un attore che prende l’autobus a Los Angeles. Nessuno crederebbe a un’attrice con un seno troppo modesto. È per questo che le mance guadagnate servendo ai tavoli vengono investite in mutui per accaparrarsi l’ultima fiammante BMW e per rinforzare quella seconda coppa B.
La corsa all’acquisto che non possiamo permetterci strumentalizzato a beneficio della nostra immagine è un’usanza largamente diffusa anche nelle più piccole province italiane.
La cosa che non mi piace di LA è che prendere l’autobus è considerato socialmente degradante. Nessuno lo fa.
È vero che la città è spaventosamente grande e che la rete di mezzi pubblici non è affatto all’altezza, ma l’aspetto sociale dietro tutto ciò è preoccupante.
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Usare i mezzi pubblici non è per forza un concetto legato all’appartenenza a classi sociali più basse. In molte città è sinonimo di comodità e velocità. Per molti è addirittura uno stile di vita o una scelta politica.
Per l’amministrazione della città e per le aziende che ne traggono benefici evitare investimenti sui trasporti pubblici sfruttando questo “problemino culturale” è una pura scelta di marketing. Per chi vive a Los Angeles con aspirazioni professionali equivale a uniformarsi ad un unico stile di vita.
Che c’è di male in tutto questo? Che vivendo qui per un po’ finiscono col mancarmi le “persone normali”.
Concludo.
Quelle qui riportate sono mie opinioni personali che vi presento in forma di analisi di una cultura che conosciamo solo attraverso i film. Non vogliono essere una critica nei confronti di una città che ha anche moltissimi aspetti positivi (ve li racconterò più avanti, magari) tantomeno di chi la abita.
Pubblico le mie riflessioni anche per chiarire che l’erba del vicino potrebbe essere più verde ma anche più amara per le nostre mucche.
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