“Mi raccomando” mi disse “Aspettami! Voglio essere io a mostrarti Manhattan per la prima volta. Bisogna vederla nel modo giusto!”
Il suo aereo sarebbe arrivato in città circa 4 ore dopo il mio.
Per qualche strana ragione le sue raccomandazioni devono aver raggiunto anche il pilota. Arrivando da ovest mi aspettavo di sorvolare Manhattan prima di atterrare. Invece l’aereo deve aver seguito una traiettoria che mi è tuttora oscura.
Quando le maestose ali del JFK si stringono intorno al velivolo che mi trasporta sono circa le 3 del pomeriggio.
L’aeroporto si trova a sud di Long Island, nella borough di Brooklyn.
L’appartamento che io e Ashley avevamo prenotato su Airbnb è nel cuore di Williamsburg. Esattamente al confine oltre il quale non mi è consentito spingermi. Una piccola distrazione potrebbe bastare per saltare la mia fermata e ritrovarmi dall’altra parte dell’East River.
Nonostante la mia curiosità sia davvero tanta, preferisco non distrarmi.
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Appesantito dallo zaino, emergo gradualmente dalle scalette della metropolitana. Sono a Bedford Avenue e tutto quello che mi circonda ha improvvisamente qualcosa di piacevolmente accogliente.
Google Maps mi dice di andare a Nord. Nel tragitto che mi separa dall’appartamento in cui, qualche ora dopo, avrei incontrato Ashley, non posso fare a meno di ammirare ciò che mi circonda.
Che cosa sono quelli? Oh cazzo!
Non posso guardare troppo a sinistra. Negli scorci tra una casa e l’altra, in lontananza, s’intravedono dei palazzoni un po’ troppo familiari. Non mi rendo ancora conto di dove mi trovo, ma so di essere vicino.
Sono a casa. Ammazzo l’attesa con una doccia mentre il sole si abbassa per lasciare spazio alle luci della notte.
Immagino non si faccia troppa fatica a credere che, per la maggior parte dei non-americani, New York City sia la città dei sogni. La città che tutti vogliono visitare almeno una volta nella vita. (Dopo Roma. Ovviamente…)
Io non ero affatto un’eccezione. Anzi… ho sempre desiderato visitare la città cosi tanto che, ogni volta che ne ho avuto l’opportunità, non l’ho mai fatto.
Non volevo andare a New York per una settimana rischiando di ridurre l’esperienza a una banale gita turistica. Come ho fatto con altre città in passato, io volevo vivere New York. Volevo stare lì fin quando non avrei avuto il desiderio di andarmene.
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Per la prima volta, invece di affrontare le cose impulsivamente per paura di perdere opportunità, stavo aspettando che si presentassero le condizioni perfette.
Le condizioni perfette non esistono. Si sa!
A ricordarmelo ci ha pensato il Dipartimento dell’Homeland Security al mio arrivo a San Francisco lo scorso Agosto. Il mio volo di ritorno in Italia era prenotato per il giorno successivo a quello dello scadere del mio visto.
Questa cosa non è accettabile negli Stati Uniti.
Quando ho chiamato l’assistenza della Delta Airlines per cambiare la data del mio volo, mi sono sentito dire “Mi dispiace signor Palermini (gli americani pronunciano il mio cognome meglio degli italiani), il suo volo non può essere anticipato per via delle condizioni del bla bla bla…. Deve effettuare una nuova prenotazione”.
Non c’ho riflettuto più di tanto. La situazione era molto chiara.
Visto che devo acquistare un nuovo volo, ne prendo uno con una settimana di layover a New York!
Quando Ashley entra in casa è più emozionata di me. Lei è americana e a New York c’è già stata tante volte. Si butta nella doccia mentre io sfoglio la Lonely Planet che la proprietaria dell’appartamento ci ha lasciato in cucina.
Un quarto d’ora dopo siamo in strada. Un taxi giallo si ferma di fronte a noi come risposta al cenno del suo braccio destro.
“Franklin and Broadway” dice Ashley rivolgendosi all’autista. L’uomo annuisce e ingrana la marcia, mentre io mi affretto a chiudere la portiera alla mia destra.
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Il tassametro comincia a girare e la macchinina si lascia andare al gioco del “prima io, prima tu” insieme ad altri veicoli della stessa specie. A differenza di quello dei conducenti, il colore dei taxi è sempre lo stesso.
Sui lati della strada, casette a mattoncini rossi accessibili attraverso le celebri mezze scalinate che gli americani chiamano stoop. Il mio sguardo passa da un finestrino all’altro come se fossi sugli spalti di un campo da tennis.
Percorriamo qualche isolato fino a quello che, a primo impatto, potrebbe sembrare un cavalcavia. Un cartellone stradale suggerisce di svoltare a destra per proseguire sul Williamsburg Bridge.
Il tassista segue il consiglio e la macchina si ritrova a percorrere una rampa d’accesso in salita simile a quelle delle nostre autostrade.
Siamo sul ponte. Alla fine della curva intravedo il bagliore della prima delle due torri di sospensione. Le casette sui lati della strada si sono trasformate in edifici più alti che mi coprono la visuale.
Mi giro a sinistra per sorprendere lo sguardo ansioso di Ashley che è in attesa della mia reazione. Quando torno a guardare davanti non ho più dubbi.
Lo spettacolo di luci che mi trovo di fronte supera ogni aspettativa. Non sono mai stato qui prima, ma la sensazione è quella di essere in un posto che conosco perfettamente.
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Quando vedo un monumento celebre che non ho mai visto, oppure un posto in cui non sono mai stato, i miei pensieri sono sempre del tipo “me l’aspettavo più piccolo (that’s what she said), più grande, più così, meno così….”
Manhattan è semplicemente Manhattan.
Le luci dei film che guardo da sempre sono davanti ai miei occhi.
La skyline si estende all’avanzare della macchina sul ponte.
Ashley mi sorride mentre, alle sue spalle, scorre il Manhattan Bridge.
A me sembra di sognare.
A circa sei mesi di distanza da quel giorno, sono tornato a New York per festeggiare il mio compleanno. Un’importante pietra miliare.
Con me c’era Andrea, compagno di merende nato e cresciuto nella mia stessa cittadella abruzzese. Dopo mesi di inglese forzato, ho potuto finalmente rilassarmi un po’ godendomi il piacere di quelle battute e quei riferimenti che solo gente che è cresciuta dalla tue parti può comprendere. E poi c’era Justin, un amico americano conosciuto in Italia anni fa, che ci ha accolto a casa sua.
In ricordo dei vecchi tempi, lui, la sua simpatica famigliola e tutti i suoi amici ci hanno dimostrato un’ospitalità senza precedenti regalandomi una settimana piena di New York City.
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